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Rifiuti sepolti in porto, l’ombra della mafia
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- Lunedì, 02 Marzo 2015
Genova - Per molto tempo le banchine di Calata Bettolo sono state riempite con rifiuti illeciti. Questo è accaduto perchè una delle zone più importanti del porto di Genova, dice il Corpo Forestale, era una sorta di terra di nessuno, dove «non c’erano controlli in entrata e in uscita» e passare inosservati era di una facilità disarmante. Così è accaduto che il cantiere dei riempimenti più significativi degli ultimi anni sia stato alla mercé di un gruppo di ditte che falsificava gli ingressi e aveva trasformato il sito in una discarica abusiva. Ma quello che è ancora più preoccupante in questa vicenda è che fra i dieci indagati della Procura della Genova, impresari e responsabili di cantiere, emergono contatti con famiglie della ’ndrangheta e della mafia siciliana.
Indagate dieci persone
L’allarme è stato lanciato di fronte alla commissione rifiuti dal prefetto Fiamma Spena e da Renzo Morolla, Comandante del Corpo forestale genovese: «Abbiamo riscontrato la gestione di un traffico di rifiuti speciali - racconta Spena - in particolare macerie di demolizioni, terre e rocce da scavo, introdotti illegalmente all’interno dell’area portuale di Genova per essere tombati nel corso dei lavori di realizzazione delle banchine portuali. Pur non trattandosi di rifiuti tossici per tracce di elementi nocivi, tuttavia la loro commercializzazione è avvenuta in violazione delle leggi che disciplinano la materia». L’area era stata sottoposta a un sequestro la scorsa estate, su richiesta del pubblico ministero Patrizia Ciccarese. In tutto sono dieci gli indagati: i due responsabili del cantiere, sei autotrasportatori e due imprenditori attivi nel settore delle demolizioni. L’accusa nei loro confronti è di traffico organizzato di rifiuti. Gli investigatori si sono finti portuali e hanno documentato come la cricca introducesse gli inerti bypassando ogni tipo di controllo.
«Contatti con i boss»
Ma ciò che forse è più inquietante sono i collegamenti con clan calabresi e siciliani. «Dall’indagine - spiega Morolla - è emersa l’ipotesi di connivenze tra la ditta conferitrice dei rifiuti e il personale dell’impresa che stava realizzando le opere. La prima delle due imprese ha sede legale a Monreale, a Palermo, e una base operativa a Genova. Dai tabulati del personale che operava nel cantiere, anche in nero, si è potuto verificare che questi personaggi fossero stati recentemente controllati insieme a un componente della famiglia Strangio, legata alla criminalità organizzata del crotonese». Durante un controllo un altro dipendente, residente a Campomorone, viene fermato in compagnia di «un membro della famiglia Lo Iacono, originaria di Vallelunga Pratameno di Caltanissetta, colpita recentemente da pesanti misure preventive antimafia». Nel 2009 la Dia (Direzione investigativa antimafia) aveva sequestrato due milioni di euro di beni al capostipite, Antonino Lo Iacono, indicato in alcuni vecchi atti come emissario del boss Giuseppe “Piddu” Madonia e coinvolto più di recente in un’inchiesta per appalti truccati a Ceranesi. «C’è poi da segnalare anche che il capocantiere dell’impresa che ha ricevuto i rifiuti - continua Morolla - È un pregiudicato che nel suo paese d’origine, Bronte (in provincia di Catania), incontrava soggetti con precedenti per associazione mafiosa ed è segnalato per la vicinanza ai clan Laudano, Mazzei e Santapaola. Quella stessa impresa nel 2007 era comparsa in un’inchiesta antimafia come vittima, perché pagava al clan Santapaola».
Auto imbottite in Nigeria
Una seconda indagine ha portato alla scoperta di una banda italo-africana che acquistava auto scassate, le imbottiva di rifiuti speciali e poi le mandava in Africa per piene di residui speciali pericolosi che “sparivano” poi in Nigeria e in Burkina Faso. «Le ditte di cui ci siamo occupati sono state impiegate in subappalti di lavori pubblici. Aldilà del caso specifico, i contatti emersi non ci lasciano tranquilli». (fonte IL SECOLO XIX)